di Luigi Mariano Guzzo
Enzo Bianchi doveva trasferirsi da Bose a Cellole. E non l’ha fatto. Con buona pace del plenipotenziario pontificio… Che cosa succederà ora, è presto dirlo. Eppure, mi sembra che in questa vicenda ci sia un’eccessiva fiducia nel diritto canonico come strumento di risoluzione dei conflitti all’interno di una comunità di vita religiosa, specie in una comunità che è (auto)compresa “ecumenica” come quella di Bose.
L’aggettivo “ecumenico” sta ad indicare l’apertura alle varie denominazioni cristiane e, quindi, nella pratica, la presenza di sorelle e di fratelli di diverse chiese. Bose nasce con questo spirito originario, nello stesso giorno in cui si chiudeva il Concilio Vaticano II, e da qui sorgono pure i primi conflitti con l’autorità ecclesiastica – l’autorità “cattolica” – per la presenza di non-cattolici all’interno della comunità. Ad oggi, Bose ha una sua forma giuridica nella Chiesa cattolica, come associazione privata di fedeli riconosciuta nella diocesi di Biella. Non è il primo caso di realizzazione della vita consacrata nell’ordinamento canonico attraverso la forma di un’associazione. Al punto tale che l’art. 7 dello Statuto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita (LFV) fa riferimento alle «associazioni di vita consacrata». Una categoria, quest’ultima, non presente nel Codice di diritto canonico, ma che dà conto della possibilità di una consacrazione di vita all’interno delle associazioni.
L’istituzionalizzazione delle forme di vita consacrata ha sempre comportato diversi problemi nella storia del diritto della Chiesa, tra la libertà dello Spirito e la rigidità delle regole. Nulla di nuovo sotto il sole, a riguardo. Il monastero di Bose ha così personalità giuridica all’interno dell’ordinamento canonico. Ed è quindi, giuridicamente parlando, una realtà cattolica. Ecumenica (soltanto) nel suo carisma fondazionale. In quanto, per la struttura normativa, rimane un’associazione di fedeli, fedeli cattolici si intende (e, per il diritto canonico codificato non potrebbe essere diversamente). Ma ecco il punto di fondo: al di là della forma canonica, Bose è davvero questo nella sostanza? Le sorelle e i fratelli non cattolici, pur non potendo risultare canonicamente “associati”, non sono forse anche loro sorelli e fratelli che vivono e alimentano l’esistenza comunitaria di questa realtà monastica?
Forse dobbiamo pacificamente ammettere che ci sono due Bose: una cristallizzata nell’ordinamento canonico, l’altra incardinata nella realtà e nelle intenzioni del fondatore. Il riconoscimento canonico probabilmente ha risposto a ragioni molto pratiche, e nulla di più. E per decenni, con questa consapevolezza, si è riusciti a far prevalere la sostanza sulla forma. Allorché si è deciso di far prevalere la forma sulla sostanza, si è arrivati al conflitto. Ma quella Bose come “entità”, sulla quale interviene oggi il diritto canonico, è più angusta dell’intera esperienza, nella sua totalità; una parte (cristalizzata) del tutto.
Dobbiamo semplicemente prendere atto di due aspetti molto elementari: la prima, Bose è più ampia del raggio di azione sul quale può incidere il diritto canonico; la seconda, il diritto canonico non ha gli strumenti per regolamentare una realtà, di fatto, strutturalmente ecumenica. Insomma, non c’è altra strada: o cambiamo Bose o cambiamo il diritto canonico. Personalmente, opterei per la seconda. Il cammino ecumenico non ammette sconti, neanche al diritto.