di Luigi Mariano Guzzo
«La vendetta era lenta ad arrivare, doveva percorrere lunghe distanze e si muoveva sopra un carro trainato da buoi, quindi il più delle volte poteva impiegare molto tempo per raggiungere la sua destinazione finale. Ma arrivava sempre, puntuale e implacabile come la morte, con cui viaggiava a braccetto». La penna di Michele Navarra, con il suo nuovo legal thriller “Solo Dio è innocente” (Fazi editore, 2020), conduce dentro la spirale di crudeltà e di sangue della legge “barbaricina”. Un “codice”, nella ricostruzione che ne ha fatto il giurista Antonio Pigliaru, docente di dottrina dello Stato all’Università di Sassari, negli anni Cinquanta del secolo scorso. Si tratta un corpo di norme consuetudinarie, tramandate oralmente, che dai tempi più antichi fino a pochi decenni addietro – ma l’eco della sua vigenza si sente ancora ai nostri giorni in alcuni episodi di cronaca – regolamenta la condotta degli individui nell’entroterra della Sardegna, tra le alture della Barbagia. Con una chiara impostazione istituzionalistica, Pigliaru riconosce nel codice barbaricino i caratteri propri di un ordinamento giuridico concorrente a quello statale. Da qui si comprende la forza coattiva di questo “diritto” incentrato sulla vendetta, essenziale per comprendere il fenomeno del banditismo sardo. In altre parole: a morte si risponde con morte.
Nel romanzo di Navarra, le convinzioni sul diritto e sulla giustizia dell’avvocato Alessandro Gordiani sono messe a dura prova ai piedi del massiccio del Gennargentu, a Fonni, il «paese più in alto della Sardegna». Dinnanzi alla morte di un ragazzino, Gordiani si dovrà ricredere: non esistono né «cause più giuste di altre» né persone indifendibili. Questo romanzo è un piccolo trattato di deontologia dell’avvocato. Un lungo viaggio ai confini tra innocenza e colpevolezza. Alla fine, la chiave di volta è da rintracciare nella saggezza popolare sarda: “unu solu Deus est senza defetu”. Cioè, solo Dio è senza peccato. Una massima forse più realistica di quella che leggiamo dentro le aule dei tribunali italiani: la legge è uguale per tutti. Soprattutto se le colpe dei padri continuano a ricadere sui figli.
Pubblicato su Mimì, inserto culturale de Il Quotidiano del Sud-L’Altra voce d’Italia, 31 gennaio 2021
