di Luigi Mariano Guzzo
Parlando del nuovo arcivescovo metropolita di Napoli, mi sia consentito continuare a chiamarlo “don Mimmo”. Così d’altronde si è firmato nella Lettera di saluto indirizzata al Popolo di Dio della Chiesa partenopea. E di don Mimmo, del nostro don Mimmo, ognuno di noi, potrebbe raccontare un’esperienza significativa o rievocare una sua parola di amore, quale dono da condividere. D’altronde, il suo servizio sacerdotale lo ha speso, per la maggior parte, in mezzo a noi, nella città di Catanzaro. Chi lo ha conosciuto giovanissimo prete, parroco alla chiesa del Carmine, nel centro storico, ne è rimasto sin da subito affascinato. Pure mia nonna Annita, ad esempio, era stata conquistata da dalla capacità che aveva questo giovane parroco fresco di ordinazione nel proporre un Dio essenzialmente amore, tenerezza, speranza. Poi, l’idea di partire missionario per l’Africa, finché un giorno l’Arcivescovo di Catanzaro-Squillace Antonio Cantisani, oggi emerito, gli ha ricordato che l’Africa è pure qui, tra le nostre periferie: inizia così l’avventura con il Centro Calabrese di Solidarietà e, successivamente, con Fondazione Betania.
Don Mimmo è esattamente come lo si vede: a tutti gli effetti un prete, un vescovo, di strada, alla maniera di Papa Francesco. A parlare di Dio è la testimonianza di una vita consumata accanto agli ultimi e agli emarginati, sull’esempio di sacerdoti che sono stati, per lui, testimoni e compagni di strada, come don Dino Piraino e don Franco Lorenzo, che oggi godono della pace celeste (permettetemi una postilla: che bello ritrovare, nelle foto, pubblicate in queste ore, lo sguardo mite di don Dino che amorevolmente sta accanto a don Mimmo, nel giorno dell’ordinazione episcopale). È il Vangelo vissuto “sine glossa”, insegna il Santo Povero d’Assisi. Qual è l’idea di riforma della Chiesa del vescovo don Mimmo? Semplice, è una riforma che parte, innanzitutto, da una conversione personale. La “Chiesa altra” (e non “un’altra Chiesa”) a cui aspira don Mimmo è, prima di ogni cosa, realizzata nella verità della sua esistenza personale, nel costruire relazioni autentiche con le donne e gli uomini del suo tempo. Diventa egli stesso il cambiamento che vorrebbe vedere nella Chiesa e nel mondo. Sogna una Chiesa povera, don Mimmo? Si fa lui, per primo, prete povero. Ecco, l’annuncio della testimonianza cristiana.
E funziona. Siamo abituati ad avere a che fare con giudizi sulla Chiesa spesso negativi. Facilmente, alle volte il sentimento che anima noi cristiani è quello – mi si lasci passare il termine – del “vittimismo”, di una Chiesa che sarebbe sotto attacco da un pensiero, ormai secolarizzato, che ha messo da parte Dio. Ma provate, in queste ora, ad andare social network, a leggere i commenti sotto i post che ripropongono la notizia di don Mimmo: troverete solo parole positive. Tutti, proprio tutti, al di là delle opinioni di fede, delle idee personali, delle visioni esistenziali, hanno per don Mimmo e per il suo essere prete una parola buona. Pure gli “odiatori” di professione, in questo caso, abbassano le armi. Cade ogni forma di aggressività. Credenti e non credenti – anche quelli a cui di Dio e della Chiesa interessa poco o niente – oggi scrivono e parlano di un uomo di Chiesa, di un vescovo, che presenta un Dio che si china sulle sofferenze dell’umanità. Mi ritornano in mente le parole del giudice Rosario Livatino, assassinato dalla mafia nel 1990, che richiamava i cristiani alla necessità di essere credibili più che credenti. Ecco, don Mimmo semplicemente è credibile. La sua autorità episcopale è, innanzitutto, autorevolezza. Tutti i discorsi sul catechismo, sulle verità delle fede, sulla teologia valgono poco dinnanzi all’esempio e alla limpidezza di una vita che brucia d’amore per il prossimo. È questo don Mimmo, che i “suoi” ragazzi della Comunità di accoglienza chiamano semplicemente “Mimmo”, anche ora che chiamato ad essere arcivescovo metropolita di Napoli.
