di Luigi Mariano Guzzo
Ho iniziato il corso di “Beni ecclesiastici e beni culturali” nel bel mezzo della pandemia, il 6 aprile. E però – come ci siamo detti con gli studenti nella lezione introduttiva – è una fortuna avere l’opportunità di parlare e di riflettere, nel pieno di una tragica emergenza sanitaria, su temi che toccano i mondi del diritto, dell’economica e della politica e che, al contempo, hanno a che fare con la bellezza. E se è vero che la bellezza salverà il mondo, questo corso, pensato per offrire agli studenti di Giurisprudenza una prospettiva professionalizzante alternativa alle “tradizionali” professioni legali o una possibilità di accesso a tali professioni con un know how di competenze più specifiche, tra lezioni, esercitazioni e seminari, nell’aula virtuale di Google Meet, sta diventando un piccolo “laboratorio” di scambio di progettazione sociale e urbana per la “fase 2”.
Non si tratta di raccontare una “piccola” esperienza di didattica che da “unilaterale” tenta di farsi “multivocale”. Quanto, piuttosto, di essere consapevoli del ruolo che la nostra università e, in generale, gli atenei calabresi assumono per lo sviluppo del territorio regionale, e non solo. D’altronde, se c’è un settore che in questa pandemia non si è fermato, è stato proprio quello della conoscenza: le università e le istituzioni di ricerca hanno continuato a diffondere saperi e cultura grazie alle tecnologie digitali. Certo, la didattica da remoto non sarà equivalente alla didattica in presenza ma, in una situazione di emergenza, pure una lezione “dematerializzata” rappresenta un’occasione propizia per far circolare idee, valori e, finanche, stati d’animo. E’ sotto gli occhi di tutti come la ricerca scientifica abbia un ruolo “salvifico” nei confronti della pandemia; tanto la ricerca sulle scienze della vita, quanto la ricerca sociale. E allora, nelle priorità delle agende di chi amministra la cosa pubblica (a livello sia centrale che regionale) non può che esserci ora l’università (a partire dall’attenzione alla stragrande maggioranza dei lavoratori della conoscenza, i precari).
Ritorno sul “mio” per sottolineare come nella Costituzione “Gaudium et Spes” del Concilio Vaticano II si faccia riferimento ad un’accezione molto ampia di “beni culturali”, che riguarda la democraticità nella diffusione di strumenti (materiali e immateriali) determinanti lo sviluppo culturale della persona umana. Ed è da qui che bisogna ripartire. Dalle nostre università, per l’appunto.
Il Quotidiano del Sud, 21 maggio 2020