di Luigi Mariano Guzzo
«Quando dò da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando dico che i poveri non hanno da mangiare, tutti mi danno del comunista». Queste parole sono di Dom Hélder Câmara (1909-1999) e danno conto del suo “strano” destino: un vescovo “povero” e “dei poveri”, a volte definito anche come vescovo “rosso”, che oggi, nella Chiesa di Francesco, attende di essere proclamato “santo”.
Come se non bastasse, il vescovo Câmara è ora Patrono dei diritti umani in Brasile. Lo ha stabilito il Congresso nazionale con legge n. 13.581 del 26 dicembre 2017, promulgata lo stesso giorno dal Presidente della Repubblica brasiliana Michel Temer e pubblicata il 27 dicembre sul Diário Oficial da União. L’art. 1 della legge dichiara: «É declarado Patrono Brasileiro dos Direitos Humanos Dom Helder Câmara». Ai sensi dell’art. 2, poi, l’atto normativo entra in vigore dalla data della pubblicazione.
Câmara viene ufficialmente riconosciuto, in tal modo, emblema “laico” della lotta per i diritti e per la giustizia sociale, a cui ha dedicato – d’altronde – tutto il suo ministero episcopale. Da vescovo ausiliare di Rio De Janeiro, nominato nel 1951, il vescovo Câmara partecipa al Concilio Vaticano II ed è tra i promotori del “Patto delle Catacombe”, per una Chiesa “serva e povera”. Arcivescovo di Olinda e Racife dal 1964, per volontà di Paolo VI, contrasta apertamente il regime militare. Quando lo stesso regime militare gli commina il divieto di parlare in pubblico al di fuori di chiese e di cerimonie religiose, il vescovo povero si dedica ad un’intensa attività di conferenziere all’estero. Come quando, nel 1970, a Parigi denuncia apertamente l’uso sistematico della tortura nel suo Paese. Si fa così voce di chi non ha voce, dei poveri, dei reietti, degli esclusi, degli emarginati. Il suo è un grido profetico, che scuote le coscienze, che non accetta mezze misure.
Rimangono però molti dubbi in merito all’opportunità che sia proprio una legge unilaterale dello Stato (laico) a nominare un “patrono”. Vi è l’ombra, dietro questa scelta, di un retaggio giurisdizionalista di ingerenza dei poteri pubblici negli affari religiosi. Tanto più che – come fa notare la stampa brasiliana – questa iniziativa coglie di sorpresa la Chiesa brasiliana, la quale, nell’ultimo anno e mezzo, con i suoi vescovi, si è attestata su posizioni molto critiche nei confronti della presidenza di Temer, soprattutto per quanto riguarda le riforme in materia di lavoro e di previdenza. C’è chi parla, quindi, a proposito, di un tentativo di riconciliazione del Governo con la Chiesa cattolica. Una sorta di “captatio benevolentiae”, insomma.
Si comprende il motivo per cui, con ogni probabilità, Dom Câmara un riconoscimento del genere non lo avrebbe gradito. In fin dei conti, si tratta del tentativo di strumentalizzare, ancora una volta, chi a gran voce reclama diritti, da parte di chi, invece, giorno dopo giorno, quei diritti li sta svuotando di contenuto.
Dom Câmara propone una teologia ed una prassi di liberazione contro i sistemi che opprimono libertà e diritti. L’impegno e la riflessione del vescovo dei poveri sono senza retorica. Al centro ci sono la donna e l’uomo in carne ed ossa. Con due questioni che egli stesso considera essenziali: “la fame e la libertà”. Ed è questo, per davvero, un discorso sui diritti umani. Non altro…