di Luigi Mariano Guzzo
In quella culla del Cristo morto abita già la Pasqua. Sembra paradossale, assurdo, incomprensibile … che cosa c’entra la vita dove risiede la morte? Eppure ieri abbiamo professato che là, dinnanzi a quella culla del Cristo, non dobbiamo fermarci più del dovuto. Sì, ci mettiamo in sosta per riprendere fiato, per capire i nostri errori, per comprendere le nostre debolezze, per chiedere perdono per le nostre mancanze, ma la speranza di trovare il sepolcro vuoto va al di là di ogni umana ragione. Non scappiamo davanti al Cristo morto. Anzi, lo accompagniamo, ce lo carichiamo sulle spalle, lo bagniamo con le nostre lacrime e, subito dopo, troviamo la forza di risollevarci dal dolore, di dare un senso alle nostre aspettative. La consapevolezza che non può fermarsi tutto lì, alla morte, è più forte delle nostre angosce, delle nostre paure, delle nostre difficoltà a perdonare e a perdonarci.
Il buio delle tenebre, nel suggestivo rito della veglia pasquale, è squarciato dalla luce. Questa luce non è illusione, non chiede all’uomo di credere nell’impossibile. E’ luce che illumina i cuori, che fa sentire che quel focolaio di speranza che arde in noi ha un significato. Perché non c’è ferita, dolore, rimpianto, amarezza che la gioia di una vita nuova non riesca a lenire. E’ questa la Pasqua.