Per dire “No” alla riforma costituzionale

di Luigi Mariano Guzzo

Strano a dirsi, ma la nostra Costituzione repubblicana, che nella sua genesi storica ha rappresentato un momento di indiscutibile coesione politica, oggi si ritrova ad essere il terreno su cui si gioca la divisione del dibattito pubblico. Insomma: da che è stata occasione di incontro diventa adesso momento di scontro. Ciò perché qualcuno –in realtà, facilmente individuabile- ha pensato di fare di questa Carta Costituzionale la cifra di un modo di fare politica che sacrifica il fondamentale principio della rappresentatività democratica sull’altare della tecnocrazia di stampo europeistico.

 Nel prossimo autunno i cittadini italiani saranno chiamati alle urne per decidere su una riforma costituzionale che modifica in larga misura i delicati equilibri tra poteri nel nostro ordinamento repubblicano. Non stiamo parlando solo del tramonto del bicameralismo perfetto, ma anche di un diverso rapporto Governo- Parlamento sbilanciato sull’esecutivo, della reale necessità di una Camera che rappresenti in maniera netta le istanze territoriali ed i cui membri quindi, al contempo, non- rappresentino la nazione, di una moltiplicazione, e complicazione, delle modalità di procedimento legislativo… Ci hanno pensato 57 costituzionalisti a firmare un appello che mette in risalto, pure da un punto di vista tecnico- giuridico, tutte le ombre della riforma costituzionale. E non può bastare la risposta di chi approva questa riforma costituzionale, e ne fa il tifo, pur considerandola “in molti punti criticabile”. E’ la Costituzione ad essere in gioco, la Carta fondativa del nostro vivere insieme, e non –mi si perdoni la battuta comune- un regolamento condominiale

Ma è già solo una, forse la più importante, la ragione per la quale al referendum i cittadini dovrebbero respingere la riforma votando “No”: i temi costituzionali non possono essere considerati moneta per valutare l’operato di un governo. Ciò che ha dichiarato il premier: “se perdo il referendum smetto di fare politica”, è da stigmatizzare per almeno due motivi. Primo, il referendum non lo vince o lo perde una sola persona, è anzi, tale strumento, tra le massime espressioni della  riconosciuta sovranità al popolo. Secondo, di un referendum costituzionale, di una riforma costituzionale, non se ne può fare un ricercato plebiscito per interessi politici e personalistici. L’operato di un governo, d’altronde, può essere valutato, e misurato, con le elezioni politiche, perché utilizzare impropriamente un referendum costituzionale?

E’ davvero singolare, poi, che a pronunciarsi su una riforma costituzionale siano state Camere formatesi con regole dichiarate costituzionalmente illegittime dalla stessa Corte Costituzionale (sentenza n. 1 del 2014), non rispettando minimamente quella che potrebbe quantomeno risultare come una questione di “correttezza costituzionale”, per riprendere le parole di Alessandra Algostino.

Dire “No” alla riforma costituzionale rappresenta, quindi, un moto di consapevole resistenza dinnanzi al tentativo del potere politico di strumentalizzare la Costituzione. Ed è necessario, mai come oggi, riscoprire insieme, anche nello specifico della propria formazione culturale –per questo motivo, personalmente, ho aderito al Comitato dei “Cattolici del No”- il valore e lo spirito della resistenza. Di quella che ieri la Costituzione l’ha fatta, e di quella che oggi la vuole difendere.

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