Unioni civili, tra vecchie e nuove discriminazioni

di Luigi Mariano Guzzo

Nelle scorse settimane il dibattito pubblico è stato polarizzato dall’approvazione al Senato del disegno di legge sulle unioni civili. Farà così ingresso, nel nostro ordinamento, un istituto del tutto nuovo che, pur non essendo precluso alle coppie eterosessuali, risponde all’esigenza di fondare i diritti che conseguono a forme di unioni tra persone dello stesso sesso.

In Europa

I Paesi Bassi, primi in Europa, nel 2001 avevano legalizzato il matrimonio civile per coppie omosessuali, e da qui si era assistito, nel vecchio continente, all’introduzione di vari strumenti normativi per tutelare le unioni non etero nelle diverse discipline nazionali. All’appello, tra pochi altri Stati aderenti all’Unione Europea, mancava l’Italia. In realtà i diversi Stati europei hanno camminato, e camminano, su una strada a doppia corsia: i Paesi Bassi, il Belgio, la Spagna, la Norvegia, la Svezia, il Portogallo, l’Islanda, la Danimarca e la Francia ed il Regno Unito hanno sostanzialmente esteso la disciplina del matrimonio eterosessuale alle coppie omosessuali; mentre la Finlandia, la Repubblica Ceca, la Svizzera, l’Irlanda, l’Austria e la Germania hanno provveduto ad adottare “unioni registrate” o “civil partnership” (non tocchiamo il tema delle adozioni che, a sua volta, è disciplinato differentemente a seconda delle varie normative nazionali). L’Italia appartiene a questo secondo gruppo di paesi nel prevedere l’introduzione nella materia del “diritto di famiglia” dell’istituto dell’unione civile. Ma in realtà, qui di “famiglia”, almeno a un punto di vista formale, c’è ben poco. Infatti, il punto di partenza della riflessione è la sentenza della Corte Costituzionale numero 138 del 2010, secondo cui la “copertura costituzionale” di una qualsivoglia tutela giuridica delle unioni omosessuali non è l’articolo 29 che definisce la famiglia quale “società naturale fondata sul matrimonio” bensì l’articolo 2 che appresta tutela ai diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle “formazioni sociali”. L’unione civile, quindi, non è “costituzionalmente” famiglia, ma è da annoverare all’interno di quella ampia nozione di formazione sociale che la Corte Costituzionale qualifica “forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico”.

Questioni etiche e dubbi interpretativi

E’ istituto snello e semplice quello dell’unione civile, volto alla tutela di soggetti che hanno scelto “forme non tradizionali di convivenza” allo scopo di “organizzare –dice la legge- la loro vita in comune”. La questione morale a monte da definire potrebbe sembrare la condivisibilità etica della scelta del legislatore italiano di voler sopprimere ogni distinzione giuridica tra coppie omosessuali e coppie eterosessuali. Se fosse questa la domanda da cui partire, la conseguente risposta della riflessione morale cattolica non potrebbe che riferirsi alla Rivelazione e, quindi, alla necessaria dualità del maschile e del femminile per un’autentica e sacramentale relazione di coppia.In realtà, la questione morale in gioco è ben diversa, perché si tratta qui di interrogarsi sulla liceità di riconoscere civilmente a coppie composte da soggetti dello stesso sesso determinati diritti (e doveri), che poi possono anche consistere in tutto, o in parte, con gli stessi diritti (e doveri) riconosciuti alle coppie etero. Per esempio, nella pratica, un soggetto può avere la pretesa di volere accanto a sé, in ospedale, nel momento della sofferenza, il compagno, anche se dello stesso sesso, con il quale si è scelto di condividere una vita insieme, in piena e autonomia e liberà; e lo stesso vale per la pensione di reversibilità o per altre situazioni. Ora –ci chiediamo-, tali pretese possono assurgere, grazie all’intervento del legislatore, a diritto? Pare proprio di sì; non fosse altro che se questa pretesa non diventasse diritto si assisterebbe ad una evidente violazione della intangibile sfera di libertà di ciascun individuo.L’istituto dell’unione civile, però, non manca di presentarsi quale modello di una ipocrisia a cui è avvezza l’italianità. In fin dei conti, l’unione civile concede alle coppie omosessuali gli stessi diritti e doveri del matrimonio civile (ad eccezione della possibilità di adottare). Ed allora perché il legislatore non ha pensato di estendere più semplicemente la disciplina del matrimonio eterosessuale alle coppie omosessuali? D’altro canto, che cos’è il matrimonio civile se non un’unione civile tout court?E, inoltre, siamo davvero convinti che il problema centrale per le coppie omosessuali sia l’estensione di tutele e diritti che, peraltro, avrebbero potuto ottenere, nella singolarità della situazione, pure per via giurisprudenziale? Con ogni probabilità, no. Quel che è certo è che i diritti ed i doveri contano. Ma la questione giuridica rimane il punto di arrivo di un processo primariamente connesso all’accettazione morale ed al riconoscimento sociale di una situazione di fatto. Tra i molteplici strumenti normativi in mano al legislatore nazionale, l’estensione del matrimonio civile alle coppie omosessuale avrebbe (anzi, meglio dire al momento, avrebbe avuto) un valore simbolico prima ancora che giuridico. Tanto più che l’articolo 29 della Costituzione non definisce il matrimonio come “eterosessuale” e, ancora, l’argomento adottato dalla Corte Costituzionale circa l’intenzione dei padri costituenti appare ampiamente superabile attraverso un’interpretazione evolutiva.

L’attuale legge sulle unioni civili, che presto entrerà in vigore, è foriera solo di nuove discriminazioni: nel modulare i loro rapporti, le coppie eterosessuali avranno tre possibilità (il matrimonio civile, l’unione civile e la convivenza tradizionale), mentre, al solito, le coppie omosessuali avranno solo due possibilità (l’unione civile e la convivenza tradizionale). Insomma, si inserisce, in tal mondo, un’unione di secondo livello per importanza, di serie B potremmo dire, e si crea un’ulteriore discriminazione per le coppie omosessuali che non potranno accedere comunque al prototipo dell’unione familiare, il matrimonio. Ne era davvero necessario?

fede e ragione

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