Autonomia, religioni e Paolo Flores d’Arcais

di Luigi Mariano Guzzo

Un cambiamento epocale è in atto. E di fronte ai costanti flussi migratori la civiltà occidentale sta giocando la sua partita più importante, quella della sopravvivenza. Di questo ha parlato Paolo Flores d’Arcais, filosofo e direttore della rivista “Micromega”, agli studenti di Diritto ecclesiastico e di Diritto canonico dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro, nel presentare il suo ultimo libro “La guerra del Sacro. Terrorismo, laicità e democrazia radicale” (Raffello Cortina Editore, 2015).

“La modernità è quella svolta per cui si passa da una vita associata fondata su una norma che noi riceviamo ad una vita associata fondata su una norma che ci diamo da noi”, ha spiegato Flores d’Arcais. Al centro l’idea di “autonomia”, che etimologicamente (il termine deriva dai lemmi greci “autos” e “nomos”) sta ad indicare la libertà di vivere con le proprie leggi; tutto il contrario, insomma, dei tempi in cui la legge era per definizione eteronoma, perché di origine divina. L’identità occidentale, insomma, per il direttore di Micromega, consiste nella “autonomia”. E la democrazia significa “uguale sovranità dei cittadini”. Da qui, la tesi di Flores d’Arcais presentata in maniera netta: “la democrazia esige un illuminismo di massa. Dio non può avere alcuno spazio nella sfera pubblica”. La democrazia insomma “deve essere rigorosamente laica”. “Se una cultura nega la libertà degli individui –ha continuato- essa è incompatibile con la democrazia”.

Non si può negare che le tesi espresse da Paolo Flores d’Arcais siano di grande interesse per quanti seguono con attenzione l’evolversi dei moderni scenari geopolitici. Viene, però, da chiedersi se non ci sia uno scollamento tra piano ideale e piano reale del discorso, tra idealismo e realismo. Come dire: possiamo anche idealmente immaginare una democrazia senza religioni (o senza Dio?), ma nella realtà le religioni rimangono ben presenti. Siamo tutti d’accordo (o, almeno, dovremmo esserlo) sull’onere di traduzione secolare delle motivazione religiose nell’agorà. Ed anzi tale necessità è proprio a dimostrazione che, al contempo, le religioni continuano a mantenere un ruolo di primo piano negli assetti della società civili; religioni che rimangono, direbbe il filosofo Habermas, “serbatoi di senso” per le proiezioni esistenziali dei cittadini. Così la domanda (critica, da parte nostra) circa la sostenibilità di una laicità dell’esclusione, ossia di una laicità che mette a margine dell’agone pubblico le parti confessionali, si fa urgente. Anzi, una laicità dell’esclusione così pensata sembra non convincerci. Forse che, invece, le religioni possono ancora offrire un contributo importante alla democrazia stessa, e che la strada da tracciare sia quella, ancora, di una laicità dell’inclusione, sul banco di prova dei diritti umani? Le religioni sono già presenti d’altronde nello scenario democratico delle nostre istituzioni, relegarle alla sola sfera privata pare strutturalmente inattuabile. Detto ciò, indubbiamente Paolo Flores d’Arcais ha avuto il merito di sollevare questioni importanti che inducono a più ampie riflessioni.

FLORES-DARCAIS

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