Un appello-proposta: salviamo la “mano di Dio” catanzarese

 di Luigi Mariano Guzzo

Su un muro del rione Fondachello di Catanzaro, all’imbocco di via D.M. Pistoia, in una piccola nicchia, possiamo ammirare la “mano di Dio”. Si tratta di una versione nostrana – unica, alle nostre latitudini – di un’icona devozionale molto popolare nell’America Latina. Il palmo destro di Dio, in posizione verticale, raffigura, sopra il pollice, Gesù Bambino mentre, sopra le altre dita, dall’indice al mignolo, vi sono la Vergine Maria, San Giuseppe, Sant’Anna e San Gioacchino. L’opera è da attribuire al pittore e abile copista catanzarese Guido Gagliardi (conosciuto come “Scaravaggio”). E oggi, probabilmente, non staremmo qui a scriverne, se non fosse rientrata sotto la lente di ingrandimento degli studi portati avanti da Silvestro Bressi. Conviene, a riguardo, riprendere in mano il volume di Bressi: “Iconografia e religiosità popolare dei catanzaresi” (Ursini, 2016). Queste ricerche hanno messo in luce i motivi per i quali ritroviamo in città un’espressione della religiosità popolare sudamericana. La vicenda trae origine, nel secondo dopoguerra, dai litigi di due famiglie dirimpettaie, che trovano tregua solo grazie all’intercessione della “potente mano di Dio”, della cui immagine si era a conoscenza grazie alla condivisione di informazioni con gli emigrati in America. C’è, insomma, un bel messaggio di pace dietro la “mano di Dio” catanzarese. Non è un caso, quindi, che l’icona fa da copertina al recente volume scritto dal glottologo Michele De Luca: “Silvestro Bressi, il demologo dei ‘Bassi’ di Catanzaro” (2020). 

            L’arcivescovo Antonio Cantisani, oggi emerito, poco prima di rinunciare al governo pastorale della diocesi nel 2002, si era adoperato, d’intesa con i residenti del quartiere, affinché quest’opera – una tavola di circa 50 per 70 centimetri -, staccata dalla parete e opportunamente restaurata, fosse custodita ed esposta nel museo diocesano. Allora non se ne fece nulla. «Nel mio cuore c’era il desiderio di salvare quest’espressione genuina della religiosità popolare dall’erosione del tempo», ci dice oggi l’arcivescovo Cantisani. Tale proposta, a distanza di circa vent’anni, è sempre valida e, anzi, si rende ancora più urgente, in quanto la “mano di Dio” è continuamente sottoposta all’azione degli agenti atmosferici. Sarebbe un bel dono per la nostra Chiesa locale e per la città, soprattutto nell’anno in cui celebriamo il nono centenario dalla fondazione della diocesi. Lanciamo l’hashtag: #salviamolamanodidiocatanzarese.

Il Quotidiano del Sud, 9 gennaio 2021


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