Coronavirus, la Conferenza Episcopale Italiana pubblica gli Orientamenti per la Settimana Santa: i provvedimenti governativi sulla libertà di culto possono essere derogati per “sentito dire”?

 di Luigi Mariano Guzzo

La Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti pubblica oggi, 25 marzo, un nuovo decreto che aggiorna le indicazioni e i suggerimenti forniti alle Conferenze episcopali e ai vescovi diocesani lo scorso 19 marzo (ne ho scritto su Moralia), per la celebrazione dei riti della Settimana Santa in tempo di Coronavirus. Sempre oggi arrivano gli Orientamenti della Conferenza Episcopale Italiana (vedi qui), che recepiscono quanto stabilito nei due provvedimenti del Dicastero romano.

            Si tratta, com’è normale, di regole liturgiche, che attengono alla vita di una comunità di fede. In sostanza la Cei conferma che le liturgie della Settimana Santa dovranno essere celebrate senza concorso di popolo. Così facendo i vescovi italiani anticipano, in un certo senso, il governo che – al momento in cui si scrive – non ha ancora prorogato il termine del 3 aprile previsto nel DPCM dell’8 marzo 2020, dove all’art. art. 2, c. 1 lett. v) si legge: “Sono sospese le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri” (ma, molto probabilmente, la proroga di questo termine è questione di ore o di giorni, di pochi giorni…).

            C’è però negli Orientamenti un passaggio che va ben al di là di questioni puramente liturgiche e tocca, più propriamente, la tutela costituzionale della libertà di religione, nella dimensione collettiva (artt. 7 e 8 Cost.) quanto individuale (art. 19 Cost.), il sistema dei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica in Italia (art. 7 Cost.), l’eguale libertà delle confessioni religiose davanti alla legge (art. 8 Cost.). Vale a dire, il supremo principio di laicità dello Stato. E non solo: perché ne va di mezzo anche il valore della certezza del diritto.

Riportiamo integralmente il passaggio:

            “Nell’interlocuzione della Segreteria Generale con la Presidenza del Consiglio dei Ministri si è rappresentata la necessità che, per garantire un minimo di dignità alla celebrazione, accanto al celebrante sia assicurata la partecipazione di un diacono, di chi serve all’altare, oltre che di un lettore, un cantore, un organista ed, eventualmente, due operatori per la trasmissione. Su questa linea l’Autorità governativa ha ribadito l’obbligatorietà che siano rispettate le misure sanitarie, a partire dalla distanza fisica”.

            La Cei informa che, a seguito di una trattativa (si parla di un’interlocuzione) con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, viene concessa la possibilità che alla celebrazione religiosa partecipino un diacono, chi serve all’altare (uno o più di uno?), un lettore, un cantore, un organista e due operatori per la trasmissione, a condizione che vengano rispettate le misure igienico-sanitarie e la distanza di sicurezza di almeno un metro. Più correttamente: si fa intendere che il governo sia d’accordo una simile proposta, in quanto pare che ne accetti la linea, indicando, semplicemente, l’obbligatorietà delle misure igienico-sanitarie e di sicurezza. Si tratta di un’eccezione, insomma, alla disposizione decretata d’urgenza dal governo italiano, e che sospende le celebrazioni religiose in maniera assoluta, mettendo in quarantena anche la libertà di culto (vedi il contributo di Maria Luisa Lo Giacco).

            Vi è innanzitutto una contraddizione in termini, sotto il profilo liturgico: da un lato, la Cei ribadisce che le celebrazioni sono da svolgersi senza concorso di popolo (tanto da concedere ai presbiteri la facoltà, in via straordinaria di celebrare senza concorso di popolo il Giovedì Santo), ma dall’altro, comunica che una rappresentanza di fedeli, seppur minima, può essere presente. E, quindi, quella celebrazione non sarebbe più senza concorso di popolo… ma si tratta di una questione interna, che non ci interessa in questa sede.

Questa della Cei può sembrare una “postilla” di poco conto, che, nei fatti, “legittima” una pratica che tutte le confessioni religiose stanno mettendo in atto, dal momento che hanno iniziato ad offrire, in maniera massiccia, i loro servizi spirituali sulla rete internet. Che, quasi per forza, necessita di un minimo di persone che vi partecipano. Una pratica tollerata, senza problemi particolari, dal governo italiano e dagli organi di polizia.

Per altro verso, inoltre, questa comunicazione sembra riabilitare nelle more dell’emergenza una certa politica concordataria che finora appariva sospesa nella decretazione d’urgenza (come ha scritto Vincenzo Pacillo).

Il problema di fondo è che – al contrario di quanto può apparire – siamo  ancora lontani da una rimodulazione del regime di limitazione della libertà di culto (che auspicava Stefano Montesano). Perché se rimodulazione ci può essere, questa non può attuarsi tramite un comunicato della Conferenza Episcopale Italiana che dà notizia di un’interlocuzione, più informale che formale, da quanto sembra. In questi giorni, ci si sta giustamente interrogando sulla legittimità “costituzionale” di limitare la libertà di religione, individuale e collettiva, tramite un provvedimento governativo, sebbene in stato di necessità. E adesso ancor di più bisogna interrogarsi sul significato di decidere in materia di libertà religiosa, in deroga alla decretazione d’urgenza, tramite comunicazioni di terze parti. In altre parole: si può decidere sulla libertà di culto per “sentito dire”? Meglio: un provvedimento governativo in materia di libertà di culto può essere derogato per “sentito dire”?

Non abbiamo né un provvedimento di deroga della disposizione del DPCM dell’8 marzo, né una successiva interpretazione “autentica” di quella disposizione che consenta, in linea teorica, la celebrazione di cerimonie religiose alla presenza di un numero limitato di fedeli. Non abbiamo niente di tutto ciò. Eppure, secondo la Cei per il governo italiano alle celebrazioni della Settimana Santa può partecipare una “certa” rappresentanza di fedeli.

La situazione allo stato dei fatti è la seguente: la Cei informa che il governo dà la possibilità di celebrare con un numero ridotto, davvero minimo, di persone. E certamente qualcuno della Presidenza del Consiglio dei Ministri lo avrà detto alla Cei, non abbiamo motivo di dubitare. Ma l’organista (che è un cittadino) che si reca in chiesa la Domenica delle Palme o di Pasqua a suonare per la celebrazione, che cosa scrive sull’autocertificazione: le indicazioni che offrono gli Orientamenti della Cei? Sembra tutto così surreale…

E’ chiaro che in gioco vi è la tenuta “costituzionale” della protezione delle libertà fondamentali nell’ordinamento democratico e, al contempo, il valore della certezza del diritto. D’altronde, è interesse della Chiesa cattolica pretendere che una deroga alla sospensione delle celebrazioni religiose e civili, se favorevolmente accettata dal governo, sia attuata attraverso provvedimenti formali.

Vogliamo sperare che qualche risposta sul punto arrivi dal governo italiano, in maniera chiara.

Se ci trovassimo di fronte, inoltre, ad un’eccezione che riguarderebbe solo la Chiesa cattolica, e non le altre confessioni religiose, sarebbe questa peraltro contraria al principio dell’eguale libertà delle confessioni religiose innanzi alla legge.

Insomma: possiamo davvero comprendere (o meglio, “accettare”) tutto (o quasi tutto, turandoci il naso…). Anche che in uno stato d’emergenza si incida temporaneamente sulla libertà di culto tramite provvedimenti governativi. Ma che sulla stessa libertà di culto si intervenga per “sentito dire”, questo proprio no…

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